Muri senza intonaco, suv blindati sul marciapiede e un reticolo di cavi elettrici volanti sotto il cielo di smalto del tropico. Fermo al semaforo verde, un grassone con decappottabile indica il suo Rolex d'oro e il neon sbiadito di un hotel a una biondina scettica. Con le gambe accavallate sugli sgabelli rossi del bar all'angolo, due fanciulle annoiate contrattano in "reais", la moneta brasiliana, la tariffa della serata che sta per cominciare. Reggaeton, heavy metal e l'audio a tutto volume di un film in inglese escono dalle finestre aperte. In strada quattro ragazzoni enormi, con grandi pacchi neri stretti tra le braccia, camminano in fretta guardandosi le spalle a vicenda.
Sono libanesi. Parlano arabo, misto al portoghese e a parole guaranì, la lingua indigena del Paraguay, l'unico Paese latinoamericano dove i conquistatori spagnoli hanno adottato la lingua degli indios conquistati, mescolandola al castigliano. C'è poca gente ormai nei trenta isolati del paradiso del contrabbando. A quest'ora lo shopping mall più grande del continente - 10 mila banchi di prodotti elettronici, un volume d'affari di 70 milioni di dollari al giorno, 60 mila visitatori in media nei giorni feriali - tira giù le saracinesche. Fuori dagli ingressi, guardie private coi fucili a pompa scrutano i finestrini delle auto in transito.
Dentro, nel labirinto di scale e cunicoli che vende contraffazioni d'elettronica ed orologi di marca in tutte le monete d'America, mille mani esperte chiudono i pacchi sigillati da gettare al fiume. Playstation, condizionatori d'aria ultrapiatti, Ipad appena scartati, Nokia con auricolari, Nokia senza auricolari, macchine fotografiche digitali Nikon, televisori di ogni dimensione, depilatori ultimo modello, i dvd di tutto il cinema possibile, da Hitchcock ai "Pirati dei Caraibi". Accatastati, in fila, appoggiati a una parete. Scatoloni di cartone, avvolti nei sacchi neri della spazzatura chiusi da metri di nastro adesivo, passano veloci di mano in mano, da un piano all'altro, fino al garage dove aspettano ragazzini in sella agli scooter che sgommano fino al Puente del Amistad (lo attraversano 40 mila auto al giorno, 70 mila nei fine settimana). Lì sotto, lungo il fiume, corre il confine tra Paraguay e Brasile, tra la minuscola patria del contrabbando che poco produce ma tutto esporta e il gigante brasiliano in pieno boom economico, assetato di prodotti di marca, veri e falsi. Quelli falsi arrivano da qui, dalla capitale commerciale di un Paese che ufficialmente vende all'estero solo soia e carne d'allevamento, non ha fabbriche, ma produce la stragrande maggioranza dei prodotti contraffatti venduti in Brasile e in Argentina. Piccole barche a motore e motoscafi veloci aspettano a luci spente sotto il ponte. Il pacco vola giù. Il tempo di arrivare all'altra sponda e la merce è già in Brasile.
«I traffici pesanti si sono spostati di qualche chilometro», spiega Joao P., ufficiale della polizia brasiliana, uno di quelli che dovrebbe controllare la frontiera. «Qui ci sono troppi posti di blocco, le armi e la pasta base per la cocaina, di provenienza boliviana e peruviana, passano il confine nel piccolo porto fluviale di Pedro Juan Caballero e in altri moli clandestini che compaiono e spariscono nel giro di due giorni».
La Triple frontera è un fazzoletto di terra arso dal sole e solcato da due grandi fiumi su cui si affacciano i confini di Brasile, Argentina e Paraguay. È la zona compresa tra le città di Foz de Iguazù (Brasile), Ciudad del Este (Paraguay) e Puerto Iguazù (Argentina) uno spazio leggendario di 2.500 chilometri attraversato da traffici di ogni genere. In teoria, uno dei posti più sorvegliati del pianeta. «Ci sono gli agenti antidroga della Dea statunitense, il Mossad israeliano, i servizi segreti di mezzo Medioriente e gli ufficiali nordamericani del Comando Sur che non se ne sono mai andati davvero e che dopo gli attentati dell'11 settembre del 2001 hanno avuto rinforzi di militari travestiti da civili. Migliaia di persone a cercare le tracce di Al Qaeda quaggiù, dove vive dai tempi della fine dell'impero ottomano una enorme comunità araba, la più grande dell'America latina dopo quella della città brasiliana di San Paolo», racconta Caesar Sanchez, argentino, storico, grande conoscitore di questo angolo di mondo, bellissimo e misterioso. «Nessuna inchiesta è mai riuscita a trovare prove dell'esistenza di cellule legate a Bin Laden», dice Sanchez. Indagini in corso cercano di intercettare, invece, flussi di finanziamenti in partenza da qui e destinati ad Hamas in Palestina e agli Hezbollah libanesi.
La Triple frontera è sempre stata terra di approdo, uno spazio aperto in cui siriani, libanesi, taiwanesi, coreani, cinesi, nazisti tedeschi in fuga, ebrei in fuga anche loro, si sono finalmente fermati. Gli ultimi arrivati sono bulgari e rumeni, sono i proprietari del business delle macchinette mangiasoldi.
Un milione di persone oggi, 60 mila nel 1961. Le grandi ondate migratorie sono cominciate nel 1975 insieme all'invio dei materiali di costruzione della centrale idroelettrica di Itaipù, gioiello di ingegneria, tra le più grandi del mondo, 13 mila megawatts di potenza, produce l'80 per cento dell' energia del Paraguay e, soprattutto, il 50 per cento di quella consumata nel sud, sud-est e centro-ovest del Brasile (dove vive il 65 per cento dei brasiliani). Nell'enorme lago chiuso dal cemento della diga passa la parte più pittoresca del contrabbando. La merce è tenuta a galla da grandi pneumatici che funzionano da zattere.
Alla fine degli anni Settanta, Paraguay e Brasile decisero di promuovere lo sviluppo dell'area a ridosso di Itaipù costruendo una zona franca. È così che Ciudad del Este, un piccolo paesino polveroso, è diventata in pochi anni una città caotica, cresciuta attorno a una scacchiera di strade asfaltate, ville basse, bouganville viola, quattro per quattro coi vetri oscurati e banche private foderate di specchi. E fu in quel periodo che intere comunità musulmane, soprattutto siriane e libanesi, si vennero a stabilire nella città brasiliana di Foz. Molti di loro fuggivano dalla guerra civile libanese. La maggioranza della comunità araba vive nei "barrios cerrados", condomini privati circondati da alti cancelli e vigilanza armata, isole separate che galleggiano nella città multietnica, con scuole, cliniche e centri culturali propri.
La zona argentina della Triple è forse la più bella. Vive del turismo costruito attorno alle cascate di Iguazù, 250 salti d'acqua in mezzo alla selva, 80 metri di altezza, una delle sette meraviglie del mondo. Un milione di turisti all'anno. La sua unica città, Puerto Iguazù, 80 mila persone, ha ancora un aspetto da cittadina del tropico povero. Venditori ambulanti di birra, griglie sul marciapiede, fumo acre e odore di salsiccia alla brace. Ma c'è una gigantesca zona franca in cantiere. Un'area Duty free c'è già, per ora semivuota. «Gli affari migliori continuano a farli i contrabbandieri di tabacco», assicura José Luis Bruce, 45 anni, da venti fa la spola tra Puerto Iguazù e Ciudad del Este trasportando quello che, di volta in volta, gli lasciano passare i suoi innumerevoli amici a guardia delle due dogane, di qua e di là dal ponte. Il Paraguay è un grande produttore di "cigarillos truchos". Ha 24 fabbriche clandestine, di cui 4 a Ciudad del Este. Il grosso dell'export è verso il Brasile. L'impresa produttrice di tabacco Souza Cruz, di San Paolo, ha denunciato tutte le marche di sigarette di contrabbando paraguaiane invocando l'intervento di tribunali internazionali. Il Parlamento di Brasilia, intanto, ha varato una legge che consente l'utilizzo di aerei militari contro i piccoli velivoli utilizzati per far entrare merce di contrabbando. La "ley del derribo" l'hanno soprannominata i paraguaiani, la "legge butta-giù-aerei".
Non ci sono piantagioni di caffè in Paraguay, eppure esistono marche di caffè nazionale in commercio, importato di contrabbando, impacchettato in confezioni colorate e venduto al supermercato. L'impresa leader del settore è di proprietà della famiglia Vierci, proprietaria del giornale "Ultima Hora" e del canale tv "Telefuturo".
È nato un traffico nuovo, di recente, costruito attorno alle restrizioni alle importazioni in Argentina decise dalla presidente Cristina Kirchner. Cittadini argentini, residenti nel lato paraguaiano della frontiera, trovano su ordinazione i prodotti stranieri che a Buenos Aires scarseggiano. E li inviano dal Paraguay a domicilio, con pony express propri. Lavorano via Internet. Molto richiesti sono i farmaci oncologici, che teoricamente arrivano dal Brasile.
Sono artisti della professione, li chiamano "buceadores", da "bucear", immergersi. Sub del commercio informale scandagliano i fondali del mercato nero e portano a galla qualsiasi cosa: profumi francesi, iPod shuffle, ma anche passaporti, certificati di residenza. I documenti in bianco sono gli originali. I timbri perfettamente contraffatti, li fanno in Paraguay. Falsi sono solo i dati. Qualche centinaio di dollari e si è virtualmente in regola per passare la frontiera diventando qualcun altro. Tutto certificato.