Non c'è dubbio che la congiuntura internazionale pesi, in primo luogo sulle aspettative degli imprenditori e sulla domanda per investimenti. Certo il Brasile resta un'economia relativamente chiusa (il commercio estero rappresenta il 21% del Pil), ma l'avanzo commerciale che in passato aveva sostenuto la crescita si è assottigliato. In più l'economia sta convergendo verso un nuovo equilibrio macroeconomico caratterizzato da bassi tassi d'interesse e cambio deprezzato, anche a costo di uno sforamento dei capisaldi della politica seguita dagli anni 90 - regime d'inflation targeting e consistenti surplus primari. In questa fase il servizio dell'indebitamento corporate costa di più, mentre le prospettive di redditività delle banche peggiorano e l'offerta di credito rallenta. L'auspicio è che nel lungo periodo prevalgano gli effetti benefici sui costi e sulla competitività delle imprese.
Ulteriore incertezza deriva da un elemento strutturale, ovvero il progressivo aumento della presenza pubblica nell'economia. I segnali sono molteplici: dalla modifica delle regole per lo sfruttamento del petrolio nell'area del pré-sal (l'immenso bacino petrolifero ad altissima profondità) a favore della Petrobras, agli elevati apporti del Tesoro al Bndes (la banca pubblica di sviluppo); dalla discrezionalità di recenti interventi (riduzione selettiva del cuneo fiscale, rinnovo delle concessioni nel settore elettrico) alla nuova politica macroeconomica, in cui cominciano ad abbondare controlli e interventi amministrativi per tenere l'inflazione sotto controllo.
I mercati, sempre pronti a sanzionare strategie eterodosse, non sembrano però eccessivamente preoccupati. Gli afflussi di investimento diretto estero continuano ad essere cospicui (oltre 65 miliardi di dollari nel 2012, pari al 2,9% del Pil) e il rischio Paese, misurato dal differenziale di rendimento dei titoli decennali brasiliani con quelli degli Usa, ha superato i 200 punti base solo nelle fasi più acute della crisi in Europa. Gli investitori internazionali sono convinti che la politica economica della Rousseff sia un tentativo di sanare l'anomalia brasiliana di alti tassi d'interesse, a dispetto di fondamentali solidi.
In più si dà atto al governo di stare operando finalmente per migliorare offerta e qualità d'infrastrutture, collaborazione col settore privato in fase di finanziamento, progettazione, realizzazione e gestione. Le concessioni per gli aeroporti sono state il primo passo nella direzione di una partnership tra pubblico e privato nella gestione delle infrastrutture, un capitolo nel quale il Brasile, con poco più del 2% del Pil di investimenti, è in ritardo rispetto alle grandi economie emergenti. I successivi pacchetti di concessioni per porti, strade e ferrovie ne rappresentano la prosecuzione. La creazione di corretti meccanismi d'asta per individuare adeguati tassi interni di rendimento sarà cruciale per permettere al Brasile di accogliere adeguatamente grandi avvenimenti come le Giornate mondiali della gioventù quest'anno, i Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016.
Per il 2013 prevale un moderato ottimismo. Il governo ha introdotto stimoli monetari e fiscali che dovrebbero permettere di ritrovare un sentiero di crescita compatibile con il potenziale dell'economia. Il consenso degli analisti è per un aumento del Pil del 3% quest'anno, in accelerazione verso quasi 4% nel 2014.
La corsa per confermare una volta per tutte la profezia di Stefan Zweig - il Brasile Paese del futuro - continuerà ad essere accidentata. Giusto che prevalga ancora l'ottimismo, perché i risultati degli ultimi due decenni, e in particolare la riduzione della povertà e delle ineguaglianze, sono sotto gli occhi di tutti. Ma le strozzature sul lato dell'offerta, a livello di capitale fisico e umano, rimangono una palla al piede da cui neanche la Rousseff è finora riuscita a liberarsi.